Covid-19: i decreti d’urgenza.

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Libere riflessioni sull’utilizzo del decreto ministeriale come fonte normativa per fronteggiare la situazione di emergenza sanitaria provocata dal Covid-19 (Coronavirus).

Dall’inizio dell’emergenza Coronavirus in Italia e, in particolare, nel periodo tra il 23 febbraio ed il 22 marzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ha emanato ben 8 D.P.CM. L’esercizio dei poteri del Governo attuato in questo modo è ammissibile e legittimo alla luce della gerarchia delle fonti del diritto e del quadro costituzionale?

Vediamo, anzitutto, nel dettaglio l’elenco dei D.P.C.M. di cui stiamo parlando (aggiornato al 23 marzo 2020): 1° D.P.C.M. 23 febbraio 2020 Il testo è visibile qui 2° D.P.C.M. 25 febbraio 2020 Il testo è visibile qui 3° D.P.C.M. 1 marzo 2020 Il testo è visibile qui 4° D.P.C.M. 4 marzo 2020 Il testo è visibile qui 5° D.P.C.M. 8 marzo 2020 Il testo è visibile qui 6° D.P.C.M. 9 marzo 2020 Il testo è visibile qui 7° D.P.C.M. 11 marzo 2020 Il testo è visibile qui 8° D.P.C.M. 22 marzo 2020 Il testo è visibile qui Per comprendere se questa produzione normativa sia giustificata dal particolare periodo di emergenza che l’Italia sta vivendo o se, invece, essa presenti profili di problematicità, è necessaria una breve digressione sulla gerarchia delle fonti e sul posto che i D.P.C.M. vi occupano.

Quali sono e come si classificano le fonti interne del diritto italiano? 1° POSTO: Fonti costituzionali Al primo posto della gerarchia delle fonti del diritto c’è ovviamente la Costituzione, la carta fondamentale su cui poggia tutto il nostro ordinamento e sistema giuridico. A pari livello vi sono le leggi costituzionali e gli statuti speciali (delle Regioni a statuto speciale). 2° POSTO: Fonti legislative o fonti primarie Al secondo posto si trovano le leggi e gli atti aventi forza di legge, ossia in primo luogo le leggi ordinarie, gli statuti regionali (regioni a statuto ordinario), le leggi regionali e quelle delle province autonome di Trento e Bolzano.  Le leggi ordinarie sono promulgate dal Parlamento, che è l’organo titolare del potere legislativo, secondo la procedura di cui gli artt. 70 ss. della Costituzione. Le fonti primarie, inoltre, comprendono i decreti legislativi (D.Lgs) e i decreti legge (D.L.) emanati dal governo. Gli atti espressione della potestà legislativa del Governo sono sempre soggetti al vaglio del Parlamento, che nel caso dei decreti legislativi interviene preventivamente con una legge delega, mentre per i decreti legge interviene successivamente al momento della loro conversione in Legge (ed è questo il caso che qui interessa). Vi è, infine, quale fonte primaria, il referendum abrogativo.  3° POSTO: Fonti regolamentari o fonti secondarie Sono fonti secondarie

  • i regolamenti governativi,

  • i decreti ministeriali e

  • i regolamenti di altri enti pubblici territoriali (regionali, provinciali e comunali).

Si tratta di atti espressione di una potestà non legislativa, con la conseguenza che essi vengono pensati e creati all’interno dell’esecutivo (Governo), senza alcun intervento diretto del Parlamento, ma che per la loro natura di fonte secondaria rimangono subordinati, oltre che ovviamente alla Costituzione, anche alle Leggi (v. art. 4 delle Preleggi). Non è, inoltre, ammesso il ricorso ai regolamenti nelle materie coperte da riserva di legge (come la materia penale). Un importante principio da tenere in considerazione quando si tratta di regolamenti è quello sancito dall’art. [[n117cost ]], comma 6, Cost., secondo il quale lo Stato esercita la propria potestà regolamentare soltanto nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. In tutte le altre materie tale potestà spetta, invece, alle Regioni, mentre i Comuni, le Province e le Città metropolitane esercitano la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. 4° POSTO: Fonti terziarie Nell’ultimo gradino della gerarchia delle fonti si trovano gli usi e le consuetudini. In estrema sintesi di tratta di norme che diventano tali perché suggellano la ripetizione costante nel tempo di una determinata condotta. Da quale legge (fonte normativa primaria) è oggi regolato il potere regolamentare riservato al Governo ed ai Ministri?  Si tratta dell’art. 17 della Legge 23 agosto 1988, n. 400, che definisce, anzitutto, le seguenti categorie di regolamenti governativi: a) regolamenti di esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari, che servono sostanzialmente a porre norme di dettaglio utili alla corretta applicazione degli atti legislativi ai quali si riferiscono; b) regolamenti di attuazione e integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, nei quali, dunque, il potere regolamentare ha uno spazio più ampio; c) regolamenti indipendenti, che vengono adottati nelle materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge; d) regolamenti che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge (v. art.97, comma 2, Cost); e) regolamenti delegati, che nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge attuano la cosiddetta delegificazione, cioè la sostituzione di norme di rango primario con norme di rango secondario. L’adozione di tali regolamenti deve essere preventivamente autorizzata dal Parlamento con una legge che determini le norme generali regolatrici della materia, nonché le disposizioni destinate ad essere abrogate a seguito dell’entrata in vigore del regolamento. Tali provvedimenti assumono la forma di D.P.R. (Decreto del Presidente della Repubblica). Il terzo comma dell’art. 17, invece, si occupa del potere regolamentare dei singoli Ministri, che viene esercitato mediante i decreti ministeriali, famiglia alla quale appartengono anche i D.P.C.M., ossia i Decreti (del) Presidente (del) Consiglio dei Ministri. Nel nostro ordinamento giuridico un Decreto Ministeriale è

  • un atto formalmente amministrativo

  • emanato da un Ministro della Repubblica (membro del Governo)

  • entro il perimetro delle materie oggetto di competenza del suo Ministero.

Nel caso la competenza su una determinata materia appartenga più dicasteri, l’adozione del decreto deve essere fatta “di concerto”. Ecco che abbiamo allora un decreto interministeriale (acronimo: D. Interm.). La potestà regolamentare dei Ministri può legittimamente essere esercitata soltanto quando la legge espressamente conferisca tale potere (non sembra ammessa, dunque, la figura del regolamento ministeriale o interministeriale indipendente). Inoltre, i regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie (oltre a quelle costituzionali ed alla Legge) a quelle contenute nei regolamenti emanati dal Governo (come organo collegiale) e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione. Quanto al procedimento per l’adozione di tutti i regolamenti trattati sopra, l’art. 17, comma 4, L. n. 400/1988, stabilisce che essi sono adottati

  • previo parere del Consiglio di Stato,

  • sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e

  • pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

Quali sono i presupposti normativi specifici dei D.P.C.M. relativi all’emergenza COVID19? Tutti gli otto D.P.C.M. fino ad ora adottati dal Governo (potrebbero crescere ulteriormente di numero), oltre che sull’art. 17, L. n. 400/1988 sopraccitato, si fondano sul D.L. 23 febbraio 2020 n.6, che è stato già convertito, con modificazioni, in Legge 5 marzo 2020, n. 13. Nello specifico l’art. 1 di tale D.L. stabilisce che “nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus” venga attuata “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. La stessa norma fornisce poi un elenco non tassativo delle misure attuabili mentre l’art. 2 prevede che “Le autorità competenti, con le modalità previste dall’articolo 3, commi 1 e 2, possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19 anche fuori dei casi di cui all’articolo 1, comma 1”. L’art. 3 individua poi le modalità di attuazione di tali misure, che vengono disposte “con uno o più [n.d.r. era solo un’ipotesi?] decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale”. La sequela (senza fine) di D.P.C.M. degli ultimi giorni, dunque, sembra avere all’apparenza una base legislativa, ma… si tratta di una base solida? La risposta a questa domanda, come peraltro già anticipato da numerose autorevoli fonti, non può essere del tutto affermativa. Come già accennato, infatti, il D.L. non pone alcun preciso limite alle misure adottabili dall’esecutivo, sia perché l’elencazione contenuta all’art. 1 non è tassativa, sia perché l’art. 2 in sostanza consente alle Autorità di fare tutto quanto è necessario “per contenere e prevenire l’epidemia”. Tale norma, a causa della sua portata potenzialmente illimitata, di fatto, conferisce al Governo il potere di incidere sui diritti fondamentali dei cittadini senza alcun controllo del Parlamento (o del Presidente della Repubblica) non solo nei luoghi in cui si sta diffondendo il Coronavirus, ma in tutto il territorio italiano, inidstintamente. È pur vero che, ad esempio, la libertà di circolazione sancita dall’art. 16 della Costituzione può essere sacrificata per tutelare la sanità pubblica, ma è altrettanto vero che la condizione di legittimità di tali limitazioni è che esse siano previste dalla Legge. Appare evidente, dunque, la forzatura attuata nel ricorso all’adozione di D.P.C.M. in materie soggette alla riserva di legge alla luce di tutto il quadro normativo illustrato ai punti precedenti, soprattutto se si considera che l’unico fondamento legislativo sul quale si poggia ad oggi l’azione del Governo in tema di limitazioni alla libertà di circolazione è un decreto legge che, pur essendo stato convertito dal Parlamento, pone confini molto labili, elastici ed incerti. Gli altri decreti legge emanati negli ultimi giorni, ossia i D.L. n.9 del 2 marzo 2020, n. 14 del 9 marzo 2020 e il n. 18 del 17 marzo 2020, infatti, disciplinano aspetti diversi dell’emergenza, come il potenziamento del SSN, le misure economiche di sostegno ad imprese e famiglie, i termini processuali e procedimentali. Il risultato di tale situazione è – come ormai anche chi non si occupa si questioni giuridiche inizia a percepire – che nell’ultimo mese il ruolo e la voce del Parlamento sono stati del tutto sovrastati dal Governo, meglio, dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. L’anomalia diventa ancora più evidente se si considera la questione dal punto di vista dei cittadini, che devono fare i conti con una stratificazione di limiti che incidono su tutti gli aspetti della propria vita quotidiana, affettiva e lavorativa, imposti non solo dal Governo centrale, ma pure dalle circolari di singoli Ministri, dalle Regioni e, in molti casi, anche dai Comuni, sulla base di provvedimenti di cui nessuno ha vagliato (e vaglierà) la legittimità costituzionale. E’ il fatto contro il diritto.  E se, a prima vista, misure di questo tipo sembrano essere giustificate dalla grave situazione di emergenza sanitaria che l’Italia sta vivendo, non è inopportuno chiedersi se il bilanciamento dei diritti fondamentali di movimento, istruzione e iniziativa economica con quello della salute pubblica non avrebbe potuto essere realizzato utilizzando uno o più (ulteriori) Decreti Legge destinati a rinnovare e precisare la portata del “primigenio” D.L. n. 6/2020, da adottare per lo meno nel momento in cui l’emergenza non è rimasta più confinata ai primi 11 Comuni dell’originaria “zona rossa“, ma si è, purtroppo, estesa a tutto il territorio nazionale. Il Decreto legge, infatti, costituisce proprio lo strumento disegnato appositamente nel nostro sistema costituzionale per fronteggiare le situazioni di necessità ed urgenza (della cui esistenza, nel concreto, ormai nessuno dubita). Le ragioni della scelta attuata dal Governo non sono note, ma è certo che ci si dovrà necessariamente porre il problema della sostanziale assenza del Parlamento, che – pur con tutte le difficoltà e i problemi legati alla contingente situazione – non può, e non deve, rinunciare a svolgere le proprie funzioni. Un buon momento per affrontare la questione potrebbe essere proprio questo, quando tutti discutono sulle attività essenziali che devono rimanere aperte, magari prendendo esempio dal Parlamento europeo, che ha deciso di tenere il prossimo 26 marzo una seduta plenaria dedicata proprio all’emergenza COVID19, utilizzando il voto a distanza.

Bibliografia: Brocardi